“Ero talmente triste che non avevo paura di niente. La paura è un lusso della felicità.”

L’unico sport che ho praticato nella mia vita è stato l’atletica leggera.
Ricordo ancora il giorno in cui feci la Scelta, sul divano vicino a mia madre, mentre guardavamo il volantino che mi avevano dato a scuola. Le chiesi di chiamare per sapere se c’era posto nella palestra del mio paese, incrociai le dita e una settimana dopo ero già al mio primo allenamento.
Eravamo in tantissimi, correvamo, giocavamo. Bambini che si divertivano, come in tutto il resto del mondo no?
Correvo per chilometri e chilometri ignara che da qualche parte in Africa ci fosse una ragazzina della mia età che correva anche lei.

«Ecco, per esempio, la guerra mi ha portato via il mare. Però, in compenso, mi ha fatto venire voglia di correre. Perché grande come il mare è la mia voglia di andare. La corsa è il mio mare».

Poi, con il passare degli anni restammo in 4 ad allenarci seriamente, con il sogno di poter fare grandi risultati, di poter gareggiare a livello mondiale.
I sogni da 13enne che ci crede, che chiude gli occhi e ci spera con tutta se stessa.

Ecco perché, leggere Non dirmi che hai paura  mi ha riempita di sensi di colpa. Quelli che ti verrebbe da prendere un coltello per aprirti il petto per far uscire tutta l’ingiustizia ingoiata ad ogni pagina, un boccone amaro che non riesci a digerire, a metabolizzare.

Perché io sono nata nel 1990, lei nel 1991.
Io in Italia e mi allenavo in un campo di atletica, di giorno, dopo la classica merenda pane e nutella e con delle scarpe differenti per ogni tipo di terreno in cui correvo.
Lei in Somalia e si allenava per strada, o in un campo bucherellato dai proiettili, con delle scarpe di terza mano, mangiando poco e senza allenatore.
Voleva restare nel suo Paese, diventare il simbolo della liberazione somala.
Sperava di farcela dopo aver partecipato alle Olimpiadi di Pechino ma le cose al suo ritorno si complicarono, il regime si irrigidì, le condizioni per allenarsi erano impossibili e decise così di intraprendere il Viaggio per l’Europa.
Spese una fortuna, fu fregata mille volte dai trafficanti di umani, vide persone morire, persone abbandonate in mezzo al deserto.
Morì al largo di Lampedusa il 2 aprile 2012, a 4 mesi dall’inizio delle Olimpiadi di Londra.

Ho letto la Sua storia di vita mentre viaggiavo: un capitolo in aereo, alcuni in bus, nelle varie stazioni mentre aspettavo i treni che ho preso per raggiungere la mia fidanzata.
Tra uno spostamento e l’altro prendevo la mia carta d’identità, la mostravo ed annuivano: sali pure, ti portiamo dove hai deciso di andare. Sei libera, tu.

Il 19 agosto 2008 Samia corse i 200 metri: fu uno dei momenti più famosi dei giochi olimpici di Pechino. Era in seconda corsia, accanto ad atlete celebri e ben nutrite.
Samia, magrissima, con le scarpe regalate dalla squadra sudanese arrivò ultima in 32,16 secondi, incoraggiata e applaudita dal pubblico dello stadio.
«Sono felice», disse. «Le persone mi hanno incoraggiato con il tifo, è stato molto bello. Ma mi sarebbe piaciuto essere applaudita per aver vinto, e non perché avevo bisogno di incoraggiamento. Farò del mio meglio per non essere ultima, la prossima volta».

La prossima volta.
La prossima volta.

Umberto Eco una volta scrisse: “Cos’è il leghismo se non la storia di un movimento che non legge?”

Ecco, io non so se é vero ma sono sicura che nessuno di loro ha mai sentito con le proprie orecchie le storie di quelli che loro chiamano clandestini.

“Stipati in un cassone appena partiti da Addis Abbeba, nessuno aveva il coraggio di lamentarsi, era più un sommesso brusìo, poi la nenia si era fatta più rumorosa, finché non era sfociata nel vomito. Dato che non potevamo muovere le braccia, il vomito finiva addosso a quelli che stavano intorno.

Avevo sempre in mente il vento, che Alì mi diceva di cavalcare. Distese di verde irrorate di vento e gialle farfalle. Questo avevo nella testa. Di questo erano pieni i miei occhi. Questo mi costringevo a immaginare, per non pensare.”

Samia nel libro sembra una ragazza simpatica, determinata. Se fosse nata nel mio paesino ci saremmo allenate insieme, se fosse giunta a Lampedusa l’avrebbero insultata perché “je danno 30 euro al giorno” e invece è morta mentre cercava di raggiungere a nuoto un traghetto italiano.

Quello che posso fare io vacilla tra il nulla e il niente, mi domando solo come facciano i politici a dormire, a spendere i soldi che guadagnano con la loro propaganda razzista del cazzo.
Bestie.

Informazioni su novantennedel90

1990
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3 risposte a “Ero talmente triste che non avevo paura di niente. La paura è un lusso della felicità.”

  1. irenemanos ha detto:

    complimenti, mi hai fatto venire i brividi. Storia da capire e ricordare. Bel blog

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  2. William ha detto:

    Gran bella storia.Complimenti. 😉

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